Sono rarissime le calzature pervenute dall’epoca rinascimentale. All’epoca il popolo disponeva appena di zoccoli e calzature di fortuna in stoffa. Le dame di alto rango indossavano invece pianelle o pantofole in pelle molto sottile, raso o velluto, decorate con pietre preziose e ricami. Chiamate in Italia “sopei”, “calcagnini” o “tappini”, a seconda della regione, e in Francia “chopines”, avevano zeppe altissime in legno o sughero rivestite in cuoio o tessuto.
Il Museo possiede la pianella di Beatrice D’Este, moglie del duca Ludovico Maria Sforza, ritrovata in prossimità dei suoi alloggi nel corso di lavori edilizi. Prove al Carbonio 14 ne attestano la datazione, corrispondente a quella del soggiorno della Duchessa in Castello.
Il secolo fu dominato dal Rococò, uno stile aggraziato ed elegante contrapposto alla pesantezza del barocco e coerente con la lussuosa leggerezza dell’aristocrazia del tempo.
Il costume europeo in questo periodo fu influenzato da madame de Pompadour, favorita di Luigi XV, e Maria Antonietta, moglie di Luigi XVI. Quest’ultima con il suo lusso estremo e stravagante fu arbitra della moda fino alla Rivoluzione francese. Le dame di corte indossavano scarpette in velluto o seta, ricamate in oro e impreziosite da gemme e la loro fragilità ne imponeva l’uso per poche ore al giorno e solo in ambienti confortevoli.
In assoluto contrasto con le scarpe di corte appaiono quelle destinate ad alcune categorie di lavoratori, come il tozzo stivale per postiglione in cuoio rinforzato, per proteggere le gambe dai frequenti incidenti a cavallo.
Nel secolo del Romanticismo la moda riflette gli ideali del tempo, la donna è modesta, coperta da stratificazioni di sottogonne e crinoline che ne nascondono le forme, ad eccezione del “vitino di vespa”, costretto in strettissimi busti.
Le calzature sono coperte dal vestito e poco considerate, solo le donne abbienti possono permettersi di farle realizzare dal calzolaio, in costosa pelle o nello stesso tessuto dell’abito. La lavorazione seriale inizierà solo nel 1866, quando proprio a Vigevano i fratelli Bocca daranno origine al primo calzaturificio industriale, seguiti nel 1875 dalla Ditta Ferretti e a partire dal 1880 dalla Ferrari Trecate.
Quando nel 1910 con l’Esposizione Universale Parigi diventa il centro del mondo, “l’epoca bella” per la Francia è già avviata da tempo, dominata dall’alta borghesia che si è arricchita con la grande crescita dell’industria ed ora dispone di innovazioni che generano un diffuso ottimismo. I costumi cambiano e, con l’entrata della donna nel mondo del lavoro e i movimenti per l’emancipazione femminile, anche l’abbigliamento subisce delle trasformazioni.
Nasce il tailleur con gonna alla caviglia, da indossare con stivaletti allacciati da bottoncini e collo alto molto aderente o scarpe accollate, con tacco a coda basso e comodo, dalla caratteristica forma a rocchetto.
La prima guerra mondiale coinvolse le principali potenze mondiali e molte di quelle minori tra l’estate del 1914 e la fine del 1918.È rappresentata nel Museo da una serie di calzature militari dei diversi eserciti che transitarono all’epoca sul territorio italiano.
I Ruggenti Anni Venti furono caratterizzati dal nuovo dinamismo culturale postbellico, che determinò mutamenti sociali e artistici, prima in America e solo verso metà decennio in Europa. La moda, influenzata dal jazz, dal charleston e da una ritrovata leggerezza, rivoluzionò i canoni dell’eleganza femminile.
Parigi divenne il centro dello stile internazionale, grazie a figure come Paul Poiret, il primo creatore di moda in senso moderno, che con i suoi abiti leggeri e trasparenti e le sue scarpine preziose valorizzò il corpo femminile liberandolo da busti e costrizioni. In mostra un suo prezioso modello ed altri del suo celeberrimo allievo André Perugia.
L’autarchia, ovvero autosufficienza economica, caratterizza un momento storico (anni ’30-’40) in cui l’Italia fu sottoposta ad embargo dalla Società delle Nazioni, con la conseguente sospensione dei rifornimenti di materie prime di ogni genere. Anche nel campo della moda si dovette fare ricorso a materiali di esclusiva produzione Italiana e ad una buona dose di creatività, dal momento che non solo mancava la materia prima, ma qualsiasi manifestazione esterofila era vietata dal fascismo. La moda di Parigi, sino a quel momento unico riferimento per grandi atelier e sartine, fu messa al bando e molto timidamente cominciò a connotarsi uno stile “autoctono”, frutto di fantasia e bisogno.
La prima metà del secolo ha visto succedersi veloci mutamenti sociali ed economici, che hanno inciso sul costume determinando stili diversi, che celebravano il lusso altoborghese della Bell’Epoque, la leggerezza degli Anni Ruggenti o l’inventiva imposta dalle restrizioni autarchiche.
Coesistono con queste correnti ben connotate alcuni modelli femminili eleganti, curiose scarpe maschili, scarpine da bambino; pezzi di uso quotidiano che per datazione ed aspetto sfuggono ad uno specifico inquadramento, ma rappresentano comunque la società del proprio tempo.
Nei primi anni’50 si verifica un totale cambiamento nella concezione della moda femminile rispetto alla prima metà del secolo; lo stile New Look del parigino Christian Dior dilaga, imponendo alle calzature leggerezza ed alle donne l’espressione di una femminilità raffinata. A partire dall’invenzione del tacco a spillo nel 1953 sino al 2000 questa visione dominerà le collezioni, declinata in diversi stili e tendenze a volte contrastanti, come il lusso appariscente degli anni ’90 contrapposto al minimalismo del decennio precedente.
Solo nel periodo dal ’68 a fine ’70, ogni espressione di ricercatezza formale sarà respinta da contestazione
e femminismo.
A questo intramontabile accessorio il Museo della Calzatura ha dedicato nel 2008 la mostra “Il tacco a spillo, fascino e seduzione”. L’attenzione dedicata a questa specifica tipologia di calzatura ha una motivazione storica, ancor prima che estetica.
Una documentazione iconografica e modelli originali dimostrano infatti la nascita del tacco a spillo a Vigevano nei primi anni ’50. Sono in esposizione i primi pezzi prodotti dagli storici calzaturifici vigevanesi sino agli esemplari più recenti dei grandi nomi della moda internazionale, a tutt’oggi prodotti in Italia e in particolare nel distretto vigevanese.
Alla fine degli anni ‘60 vari fenomeni sociali come la contestazione giovanile, il movimento hippy e le nuove correnti musicali influenzarono fortemente la moda, che per la prima volta si rivolse ai giovani, che rifiutavano qualsiasi similitudine con i propri genitori.
Nacquero la minigonna, i pantaloni a zampa di elefante e bizzarre calzature che esprimevano il bisogno di novità e trasgressione, come gli “zatteroni” a zeppa altissima, i sandali con plateau in patchwork e tomaie “baiadera” dai vivaci colori e gli stivali “cuissards”, elasticizzati o in pelle, alti appunto sino alla coscia.
Negli ultimi anni il Museo ha molto esteso questa sezione attraverso una visione più internazionale, legata al mondo della moda e dello stile. I designers, che allo stilismo puro associano una propria esclusiva forma di espressione, connotata da un proprio brand, sono lo specchio dell’evoluzione del concetto di eleganza.
A partire da Poiret, che può considerarsi il primo designer dell’epoca moderna, sino ai più recenti nomi emergenti, il mondo della moda internazionale, con qualche rara eccezione, è presente nelle vetrine del Museo.
Menti creative, abili disegnatori e intuitivi interpreti delle tendenze, gli stilisti stanno dietro le collezioni delle grandi aziende o collaborano allo stile di noti brand, talvolta senza che al loro nome venga dato risalto.
In occasione della mostra Visitors and Natives nel 2013 il Museo ha presentato i giovani talenti emergenti, provenienti da ogni parte del mondo.
La sezione presenta alcuni modelli rappresentativi prodotti da aziende italiane e straniere che, in termini di stile, ricerca o innovazione, hanno significativamente contribuito allo sviluppo del settore calzaturiero.
Vigevano, nella sua lunga tradizione calzaturiera, ha sempre avuto il privilegio di fornire scarpe ai Pontefici. I migliori artigiani vigevanesi hanno perciò ricevuto alcune calzature indossate dai vari Papi, da utilizzare come modello per realizzarne di nuove. Tali modelli, raccolti dalla confraternita dei calzaturieri “Consorzio dei Santi Crispino e Crispiniano”, sono esposti in Museo.
Alle calzature di Pio XI, Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II si aggiunge la copia del paio offerto dal Calzaturificio Moreschi a Papa Benedetto XVI in occasione della sua visita a Vigevano nel 2007, che è stata donata al Museo.
Differenti etnie, in diverse epoche storiche, si raccontano attraverso modelli rari e curiosi: il Giappone con le caratteristiche geta, i tabi e gli zori; la Cina con pantofoline in seta, incluse quelle per il piede di loto, poetica definizione che connota la crudele pratica del rattrappimento del piede femminile. L’India è rappresentata da babbucce alla “Aladino” con la punta all’insù, modelli con ricami pregiati e zoccoli in legno intarsiati riccamente. Dall’Arabia provengono le pantofole-staffa, tipiche delle popolazioni nomadi; dai Paesi africani i sandali per usi cerimoniali e dai Paesi nordici pesanti calzature anti-freddo in pelle di foca e di renna e sovrascarpe in corteccia intrecciata.
I modelli esposti sono appartenuti a diversi personaggi storici, di diversi ambiti professionali e sociali.
Un’interessante rassegna sullo sport, con calzature per diverse discipline realizzate tra gli anni ’20 e gli
anni ’50, quando i “materiali tecnici” erano cuoio, tela e gomma.
La camera delle meraviglie propone modelli indossabili e suggestioni curiose, non sempre create per
essere calzate, ma spesso come “divertissement” o provocazione.
Si va dalla minuscola “Mosca”, la scarpa più piccola della collezione museale e forse la più piccola in assoluto, realizzata in vero capretto con lacci e fiocchetto in punta, alla gigantesca derby n.59 del cestista Shaquille O’Neal o alla scarpa totem “High step” dalla suola alta quasi 1 metro. Modelli eterogenei e curiosi, destinati a suscitare meraviglia.