Le donne vigevanesi alla riscossa contro qualunque nemico!
Durante la battaglia che vide l’assedio del castello di Vigevano da parte delle truppe di Francesco Sforza nel 1449, donne e invalidi contribuirono alla resistenza da parte dei propri mariti e concittadini contro gli assalitori. Quando le truppe nemiche riuscirono a far breccia tra le mura del castello, con grande stupore si videro sbarrare il passo da un drappello di indomite donne che, raccolte le armi degli sfiniti mariti e figli, riuscirono non solo a contrastare l’avanzata dei nemici ma anche a ricacciarli oltre le mura. La tradizione popolare ha tramandato il nome della donna che organizzò il gruppo di numerose combattenti vigevanesi: Camilla, della nobile casata dei Rodolfi.
Il cavallo bianco di Ludovico
Secondo una di esse, nella notte seguente la drammatica sconfitta del duca a Novara (8 – 10 aprile 1500), che mise definitivamente la parola fine al suo regno che tanti risvolti positivi aveva avuto per la nostra città, uno splendido destriero bianco irruppe nella piazza a galoppo sfrenato e si lanciò su per la rampa che, saliva all’ingresso del castello che si apriva nella base della torre. L’animale era la cavalcatura preferita del duca che, per evitargli i rischi e i pericoli di una battaglia, gli aveva preferito un cavallo qualunque. Ora il bianco animale cercava il suo padrone. Trovata sbarrata la porta del maniero, il destriero tornò a scorrazzare per la piazza, battendo selvaggiamente gli zoccoli ferrati finché, improvvisamente, sembrò scomparire nel sottosuolo. Si narra che i suoi calci avessero aperto un buco nel terreno e che l’animale vi fosse precipitato, ma non fu possibile ritrovarne il corpo. Agli esterrefatti popolani non rimase che riempire, a loro spese, la fossa che si era aperta nella volta di una cantina.
Le cortigiane inquiete
Nell’ala del maschio del castello erano situati gli appartamenti della duchessa Beatrice d’Este, amatissima moglie di Ludovico il Moro la quale, dopo avergli dato due figli, morì di parto dopo la sua terza gravidanza. Dopo la sua morte, l’ala non fu più abitata stabilmente, o per meglio dire non da esseri viventi, perché una leggenda vuole che, nelle calde notti estive, gli spiriti delle dame di corte di Beatrice amino passeggiare nottetempo nei loggiati degli appartamenti femminili del castello
Una profezia veritiera
Tra i più illustri ospiti del convento domenicano di San Pietro Martire, va annoverato frate Michele (vero nome Antonio Michele Ghislieri). La tradizione vuole che il monaco, durante una passeggiata, avesse incontrato un vignaiolo che stava lavorando alle sue viti. Frate Michele, originario di una regione di radicate tradizioni vitivinicole, offrì un consiglio al contadino, concludendo il discorso in questo modo: “Temo che, legata in quel modo, questa vigna farà l’uva solamente il giorno in cui io diventerò papa”. E la risposta del contadino fu: ” Beh, le assicuro, padre mio, che presto lei sarà fatto papa, e a me toccherà venire a Roma a portarle il vino della mia vigna”. Mai profezia si mostrò più veritiera: nel 1566 Michele Ghislieri fu nominato papa e assunse il nome di Pio V. Naturalmente il vignaiolo vigevanese mantenne la sua parola, mentre il neo papa promise azioni in favore del capoluogo lomellino: istituì una borsa di studio per due studenti poveri affinché potessero frequentare il collegio da lui fondato a Pavia e che ancora oggi porta il suo nome.
La gallina d’oro
Una pubblicazione francese del 1810 riporta una curiosa leggenda vigevanese che, secondo lo storico Ambrogio Basletta, sopravvive ancora nella tradizione popolare del XIX secolo. Il Basletta narrò che “alla mezzanotte e un minuto del 31 dicembre di ogni anno, una chioccia fa tredici giri intorno alla vasta corte del castello”. La chioccia e il suo seguito di undici pulcini, sono fatti in oro massiccio con due grossi brillanti al posto degli occhi la prima, e piccoli rubini per i pulcini. Il fortunato che incontrò tale curiosa famigliola, pronunciando frasi misteriose avrebbe visto trasformare la gallina in una splendida fanciulla e i pulcini in undici paggi biondi. Inoltre, il fortunato passante sposò alla fina la ragazza, diventando molto ricco poiché i paggi portavano con sé segreti per impossessarsi di un favoloso tesoro. Peccato che nessuno abbia mai rintracciato le frasi misteriose ne abbia mai assistito a tale visione!
San Bernardo e il diavolo
Le origini di tale festa sono legate a una leggenda che narra di un brutto scherzo giocato dal diavolo a san Bernardo di Chiaravalle in persona, il quale doveva recarsi a Vigevano per una predica. Satana, per impedirgli di raggiungere la destinazione, decise di sfilare una ruota dall’asse della vettura su cui viaggiava l’abate di Clairvaux. Ma l’abate, per nulla scoraggiato, catturò con le sue mani il diavolo e ne adattò il corpo in guisa di ruota, così da poter proseguire alla volta di Vigevano. Per ricordare quell’evento viene da allora celebrata presso la chiesa vigevanese la festa dedicata al santo, che ha il momento culminante nel ricordato “rogo del diavolo”. Un pupazzone raffigurante il demonio viene calato da una corda tesa attraverso la via, sopra una catasta di legna di cui è stato appiccato il fuoco; dalla facilità con cui avviene la combustione, il popolo è solito trarre auspici più o meno favorevoli per i successivi dodici mesi.